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    La dimensione umana e trascendente della preghiera islamica, III parte

    Il culmine di questo atteggiamento interiore è chiaramente visibile nella credenza secondo la quale l’essere umano, dopo essere stato creato, viene abbandonato al suo destino e non intrattiene più alcun legame con il Creatore. Secondo questa prospettiva la vita dell’uomo si trova in balia del Dahr, Tempo o Destino, che inesorabilmente consuma e fa sparire nel nulla tutto ciò che è contingente e creato. Nel Sacro Corano è scritto a proposito di questa attitudine: “Dicono: <<Non c’è che questa vita terrena: viviamo e moriamo; quello che ci uccide è il tempo che passa” (45:24).
    Per l’uomo della Jahiliyyah la vita terrena non è altro che una marcia verso il nulla a cui viene condotto dalla tirannia stessa del tempo. Per gli arabi dell’epoca pre-islamica la finitezza che si esprimeva nell’esistenza radicata nel tempo e strutturata secondo la temporalità era una condanna a cui era impossibile sfuggire. La natura stessa dell’uomo era strutturata in modo da subire questa condanna ontologica inesorabile. Al tempo e alla sua tirannia distruttiva non vi era possibilità alcuna di scampo.
    Attraverso la salat compiuta ad intervalli regolari, che seguono l’andamento stagionale del sorgere e del tramontare del sole, l’uomo entra in relazione non solo con Dio ma anche con l’ambiente circostante, unendosi di fatto all’atto di adorazione di tutto il creato orientato anch’esso ad una perenne tensione verso il Creatore. Secondo l’insegnamento coranico tutti gli enti creati stabiliscono un legame con il Creatore attraverso una forma di adorazione adeguata alla loro natura, che però l’essere umano il più delle volte non è in grado di percepire o di comprendere: “I sette cieli e la terra e tutto ciò che in essi si trova Lo glorificano, non c’è nulla che non lo glorifichi lodandoLo, ma voi non percepite la loro lode”. Cfr. Il Sacro Corano 17:44; “Non vedi come Allah è glorificato da tutti coloro che sono nei cieli e sulla terra e gli uccelli che dispiegano (le ali)? Ciascuno conosce come adorarlo e rendergli gloria” Cfr. Il Sacro Corano 24:41.
     L’essere umano, secondo la prospettiva coranica, si trova al centro di un contesto multirelazionale che si esprime attraverso la salat, dove s’instaura un legame forte tra uomo e natura, quasi una sorta di legame armonico tra uomo e mondo nella perenne tensione verso Dio. L’ambiente naturale, secondo l’insegnamento coranico, è ricco di simboli o ayat (segni), lo stesso termine che viene impiegato per indicare i versetti del Sacro Corano. Dio, infatti, non parla all’uomo solo ed unicamente la rivelazione consegnata ai Profeti (wahy) che sono chiamati a diffonderla presso il resto dell’umanità, ma si rivolge ad ogni singolo essere umano indipendentemente attraverso segni sparsi nella natura stessa, attraverso i quali Dio parla a tutti coloro che si dimostrano capaci di comprendere i segni divini perché possiedono sia aql (intelletto) sia qalb (cuore). Anche se la rivelazione divina viene consegnata specificatamente al Profeta, tutti gli uomini vivono nel mezzo dei simboli divini che sono accessibili a tutti coloro che sono in possesso delle qualità adatte a comprenderli.
    Anche se la comunicazione linguistica tra Dio e uomo è marcata dall’assenza di equilibrio ontologico tra i due interlocutori, secondo l’insegnamento coranico la comunicazione tra uomo e Dio è sempre un fenomeno reciproco e mai unilaterale. L’uomo, in altri termini, è chiamato a rispondere attraverso la salat ed è proprio nel momento della preghiera che tempo ed eterno s’intersecano in modo misterioso affinché il messaggio eterno di Dio calato nel tempo conferisca il significato ultimo all’essere storico dell’uomo. 
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