Il culmine di questo
atteggiamento interiore è chiaramente visibile nella credenza
secondo la quale l’essere umano, dopo essere stato creato, viene
abbandonato al suo destino e non intrattiene più alcun legame
con il Creatore. Secondo questa prospettiva la vita dell’uomo si
trova in balia del Dahr, Tempo o Destino, che inesorabilmente consuma
e fa sparire nel nulla tutto ciò che è contingente e
creato. Nel Sacro Corano è scritto a proposito di questa
attitudine: “Dicono: <<Non c’è che questa vita
terrena: viviamo e moriamo; quello che ci uccide è il tempo
che passa” (45:24).
Per l’uomo della
Jahiliyyah la vita terrena non è altro che una marcia verso il
nulla a cui viene condotto dalla tirannia stessa del tempo. Per gli
arabi dell’epoca pre-islamica la finitezza che si esprimeva
nell’esistenza radicata nel tempo e strutturata secondo la
temporalità era una condanna a cui era impossibile sfuggire.
La natura stessa dell’uomo era strutturata in modo da subire questa
condanna ontologica inesorabile. Al tempo e alla sua tirannia
distruttiva non vi era possibilità alcuna di scampo.
Attraverso la salat
compiuta ad intervalli regolari, che seguono l’andamento stagionale
del sorgere e del tramontare del sole, l’uomo entra in relazione
non solo con Dio ma anche con l’ambiente circostante, unendosi di
fatto all’atto di adorazione di tutto il creato orientato anch’esso
ad una perenne tensione verso il Creatore. Secondo l’insegnamento
coranico tutti gli enti creati stabiliscono un legame con il Creatore
attraverso una forma di adorazione adeguata alla loro natura, che
però l’essere umano il più delle volte non è
in grado di percepire o di comprendere: “I sette cieli e la terra e
tutto ciò che in essi si trova Lo glorificano, non c’è
nulla che non lo glorifichi lodandoLo, ma voi non percepite la loro
lode”. Cfr. Il Sacro Corano 17:44; “Non vedi come Allah è
glorificato da tutti coloro che sono nei cieli e sulla terra e gli
uccelli che dispiegano (le ali)? Ciascuno conosce come adorarlo e
rendergli gloria” Cfr. Il Sacro Corano 24:41.
L’essere umano, secondo
la prospettiva coranica, si trova al centro di un contesto
multirelazionale che si esprime attraverso la salat, dove s’instaura
un legame forte tra uomo e natura, quasi una sorta di legame armonico
tra uomo e mondo nella perenne tensione verso Dio. L’ambiente
naturale, secondo l’insegnamento coranico, è ricco di
simboli o ayat (segni), lo stesso termine che viene impiegato per
indicare i versetti del Sacro Corano. Dio, infatti, non parla
all’uomo solo ed unicamente la rivelazione consegnata ai Profeti
(wahy) che sono chiamati a diffonderla presso il resto dell’umanità,
ma si rivolge ad ogni singolo essere umano indipendentemente
attraverso segni sparsi nella natura stessa, attraverso i quali Dio
parla a tutti coloro che si dimostrano capaci di comprendere i segni
divini perché possiedono sia aql (intelletto) sia qalb
(cuore). Anche se la rivelazione divina viene consegnata
specificatamente al Profeta, tutti gli uomini vivono nel mezzo dei
simboli divini che sono accessibili a tutti coloro che sono in
possesso delle qualità adatte a comprenderli.
Anche se la comunicazione
linguistica tra Dio e uomo è marcata dall’assenza di
equilibrio ontologico tra i due interlocutori, secondo l’insegnamento
coranico la comunicazione tra uomo e Dio è sempre un fenomeno
reciproco e mai unilaterale. L’uomo, in altri termini, è
chiamato a rispondere attraverso la salat ed è proprio nel
momento della preghiera che tempo ed eterno s’intersecano in modo
misterioso affinché il messaggio eterno di Dio calato nel
tempo conferisca il significato ultimo all’essere storico
dell’uomo.
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