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    La dimensione umana e trascendente della preghiera islamica, I parte

    Attraverso una meditazione sulla natura della preghiera islamica, ossia analizzandone in profondità il significato è possibile anche riflettere sulla concezione coranica dell’essere umano, sulla sua finitezza, temporalità e status di ente creato.
    Nel versetto 14 della sura 20 è scritto: “In verità Io sono Allah: non c’è Altro dio all’infuori di Me. AdoraMi ed esegui l’orazione per ricordarti di Me”.
    L’espressione italiana “eseguire l’orazione” traduce quella araba “Iqamat salat”, che etimologicamente significa “stabilire una relazione in modo stabile e duraturo”. Secondo l’insegnamento coranico la relazione tra uomo e Dio si stabilisce e si consolida proprio attraverso la salat, il cui significato non si esaurisce nella recitazione di determinati versetti coranici accompagnati dai movimenti del corpo, ma può essere considerato un vero e proprio atto dinamico che pone il credente in un rapporto diretto con Dio aprendolo all’eternità nel mezzo della temporalità della propria esistenza terrena.
    Per poter arrivare a comprendere però il valore ultimo della preghiera all’interno della vita del credente dobbiamo far riferimento a quei versetti che descrivono la cadute di Adamo (quindi di tutta la specie umana) dalla condizione paradisiaca. In questo contesto non ci interessa descrivere minuziosamente l’episodio, ma è importante sottolineare che l’atto di disubbidienza di Adamo venne accolto da Dio con il perdono e, quindi, la collocazione della specie umana nell’ambiente terrestre non deve considerarsi una punizione, ma una conseguenza necessaria legata alla natura stessa della creatura umana.
     Nel Sacro Corano è scritto: “……Poi Iblis li fece inciampare e scacciare dal luogo in cui si trovavano. E Noi dicemmo: <<Andatevene via, nemici gli uni degli altri. Avrete una dimora sulla terra e ne godrete per un tempo stabilito>>. Adamo ricevette parole dal suo Signore e Allah accolse il suo [pentimento]. In verità Egli è Colui che accetta il pentimento, il Misericordioso. Dicemmo: <<Andatevene via tutti [quanti]! Se mai vi giungerà una guida da parte Mia, coloro che la seguiranno non avranno nulla da temere e non saranno afflitti>> (Cfr. Il Sacro Corano 2:35-38).
    Secondo l’insegnamento coranico, quindi, la terra non costituisce per l’uomo un luogo di castigo ma l’ambiente più adatto allo sviluppo delle capacità che gli sono state donate da Dio. Nel Sacro Corano all’uomo è assegnato il ruolo di Khalifa di Dio sulla terra. Nei versetti in cui viene fatto riferimento a questo particolare ruolo, che segna la natura del legame e della relazione tra uomo e natura, viene anche detto: “Ed insegnò ad Adamo i nomi di tutte le cose”.
    La conoscenza dei nomi, la capacità di nominare non indicano solo ed esclusivamente il possesso da parte dell’essere umano di un intelletto razionale ma anche la possibilità di entrare in relazione con gli enti animati ed inanimati che fanno parte della creazione. In altri termini, “nominare” può significare l’atto di prendersi cura di qualcosa e di esserne quindi responsabile. Quando l’uomo ha “imparato” i nomi di tutte le cose ha accettato implicitamente il ruolo di vicario di Dio sulla terra. Questo ruolo indica tutta la grandezza dell’essere umano e la natura del legame e della relazione che l’uomo intrattiene con Dio stesso.
    L’inizio della storia dell’umanità coincide con la collocazione della specie umana nell’ambiente terrestre e con il primo nucleo della rivelazione inviata da Dio all’umanità. Secondo l’insegnamento coranico l’uomo ha ricevuto la guida della rivelazione in epoche differenti e per mezzo di profeti differenti che sono stati però tutti portatori del medesimo messaggio, ossia dell’Islam inteso come abbandono alla volontà divina, obbedienza alla legge rivelata e consapevolezza che l’uomo tornerà, al termine della sua permanenza sulla terra, a Colui che gli ha dato origine. Nel Sacro Corano è scritto: “Il destino ultimo è verso di Me” (31:14); “Appartiene ad Allah la sovranità sui cieli e la terra. Verso Allah è il ritorno ultimo” (24:42).
    Il messaggio islamico è prima di tutto un messaggio di pace e di riconciliazione tra uomo e Dio. La reazione verso questo messaggio, che si è espressa sia nell’accettazione sia nel rifiuto, è il motivo che fa da sfondo alla storia dell’uomo di tutte le epoche storiche.
    Il concetto di Fitrah , termine arabo tradotto solitamente nella lingua italiana con “natura”, è un altro termine chiave per comprendere la concezione della natura umana che emerge dagli insegnamenti del Sacro Corano. Tra Islam e Fitrah esiste una relazione essenziale. Secondo la prospettiva islamica, infatti, l’abbandono fiducioso e l’obbedienza a Dio costituiscono i due atteggiamenti che consentono all’uomo di sviluppare in pieno la sua natura essenziale e più profonda.
    Il carattere islamico dell’esistenza si esprime comunque nell’impegno continuo nel mondo e nella storia che consentono all’essere umano di esprimere al meglio i connotati più positivi della propria natura. Secondo la prospettiva islamica, infatti, l’essere umano non è soggetto ad un destino violento imposto dall’onniscienza e dall’onnipotenza divina bensì è stato creato per mantenere una relazione stabile e duratura con il proprio Creatore. Nella concezione islamica il rapporto con Dio non si raggiunge in modo preferenziale nella vita contemplativa e, quindi nella solitudine, ma piuttosto nell’azione continua nei diversi ambiti spaziali e temporali dell’esistenza.
    La salat costituisce il mezzo prescelto e più potente per mantenere questa relazione durante l’intera durata dell’esistenza dell’uomo. Il fine ultimo della preghiera, secondo l’insegnamento coranico, è quello di proiettare la totalità della persona del credente- corpo e anima, spirito e materia- verso Dio nel mezzo delle occupazioni quotidiane per quanto modeste e prive d’importanza possano sembrare ad uno sguardo esterno. Nell’Islam, infatti, non ha alcun significato la distinzione tra atti sacri e profani, ma solo tra azioni che promuovono lo sviluppo della personalità e azioni che, invece, umiliano e sviliscono la nobiltà della natura umana.
    Attraverso la salat il credente può, nel mezzo della sua quotidianità, entrare in uno spazio ed in un tempo che trascendono i limiti della temporalità per aprirsi invece all’eternità. La preghiera islamica, infatti, proietta il credente nella dimensione dell’eternità senza però recidere i suoi legami con il tempo. Questa continua dinamica tra tempo ed eterno costituisce il ritmo fondamentale della vita islamica. Quando il musulmano si dispone sul suo tappeto da preghiera e pronuncia il Takbir, ossia Allah Akbar, è consapevole di entrare alla presenza stessa dell’Altissimo, disponendo tutta la propria finitezza che si esprime nel tempo davanti all’eternità della presenza divina. 

    L’uomo, in quanto khalifa di Dio sulla terra, agisce nella storia ma non ne è il Signore assoluto. Per questo motivo, al fine di agire nel modo migliore nella temporalità della propria esistenza storica, ha bisogno di mantenere un legame profondo con l’eterno. L’essere umano realizza nel tempo le potenzialità che gli sono state donate, mantenendo nello stesso tempo un legame profondo con l’eternità.
    L’uomo realizza se stesso nella temporalità della storia individuale e collettiva ma il valore ultimo del suo essere risiede nell’eternità della relazione con il proprio Creatore. Per indicare la natura del legame profondo che unisce uomo e Dio nel Sacro Corano è stato rivelato: “E quando il Signore trasse, dai lombi dei figli di Adamo, tutti i loro discendenti e li fece testimoniare a proposito di loro stessi [disse]: “Non sono il vostro Signore?”. Risposero: “Sì, lo attestiamo”. [Lo facemmo] perché nel Giorno della Resurrezione non diciate: “Veramente eravamo incoscienti”.
    E ancora, quando Abramo ubbidì al comando divino e costruì la Ka’ba, pregò Dio nel modo seguente: “O Signor nostro, ho stabilito una parte della mia progenie in una valle sterile, nei pressi della Tua Sacra Casa, affinché, o Signor nostro, assolvano all’orazione” (14:37), “O Signor nostro, fai di noi dei musulmani e della nostra discendenza una comunità musulmana. In verità, Tu sei il Perdonatore, il Misericordioso” (2:218).
    Questi due versetti sintetizzano il cuore stesso della fede monoteista: Salat e Islam. Infatti, il termine Islam indica la disposizione interiore di colui che si abbandona a Dio riconoscendo il legame che lo unisce a Lui. Nel versetto coranico che descrive l’attitudine spirituale di Abramo è scritto: “Quando il Signore disse: <<Sottomettiti>>, rispose: <<Mi sottometto al Signore dei Mondi>>. Fu questo che Abramo insegnò ai suoi figli e anche Giacobbe: <<Figli miei Allah ha scelto per voi la religione, non morite se non musulmani>>.
    Il termine utilizzato in questo versetto coranico è Aslim, che deriva dalla medesima radice dei termini Islam e Salam. Il comando ricevuto da Abramo non è stato solo quello ricevuto da tutti i profeti, ma costituisce anche l’invito a cui ogni uomo è stato chiamato a rispondere fin dalla sua stessa creazione. 
     
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